Opera-mostro, iperlibro che comprende ed espande mondi interi, lo Zibaldone è un'opera unica. Uno smisurato «scartafaccio», come lo definiva Leopardi stesso, costruito con tecniche differenti nell'arco di quindici anni, dal 1817 al 1832, secondo un progetto in continua evoluzione. È un'opera che sfugge alle definizioni e dichiara di essere fondata su una incrollabile volontà di incompiutezza. Leopardi non sapeva quale fosse lo scopo finale del monumento letterario che stava erigendo e che, di volta in volta, si trasformava in trattato sulla lingua, dizionario filosofico e filologico, diario intellettuale. Si tratta di un vero "edificio dell'intelligenza" di Leopardi, la testimonianza viva delle sue creatività ed erudizione, benché quasi sconosciuto fino al Novecento, quando fu pubblicato per volere di Carducci. Nelle oltre 4500 pagine manoscritte che lo compongono, il definitivo e il provvisorio, l'occasione e la necessità convivono intimamente e si confondono, in una serie di infinite variazioni e accostamenti di elementi attinenti alla poesia o alle culture classiche e moderne, alla filologia o alla linguistica, alla teologia o alla politica, all'estetica o alla storia delle idee. Natura e ragione, felicità e noia, piacere e dolore, spirito e corpo, illusione e vero, Dio e nulla, antichi e moderni, classici e romantici: i grandi temi del pensiero leopardiano si ritrovano in questo specchio della vastità della letteratura spinta ai suoi estremi confini, dove ordine e caos finiscono per sovrapporsi.
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